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dell’armonia; fatti senza parole sono strumento in cui non s’intromette alito di sorta, e a cui torna inutile per conseguenza ogni più artifiziosa costruzione. Questo discorso è riferibile a tutti gli argomenti, ai traffichi, alle arti, alla morale, agli affetti. In ogni cosa c’è tempo e luogo pei soli fatti, tempo e luogo per le parole. Guai per alcuni uomini ridotti alla disperazione dai fatti, se non avessero il conforto delle parole! Guai per quelli cui furono micidiali le parole, se non avessero un rifugio nei fatti! Sicchè a certi barbassori, i quali sempre e in ogni proposito hanno in bocca questo noioso ritornello fatti e non parole, rispondete colla novelletta seguente, che nella sostanza viene a dire una bella verità, e nella veste potrà essere da ognuno di voi, miei cari lettori, assai migliorata da quella che ve la pongo sottocchio in quattro grami periodi di prosa.

Ne’ tempi in cui ci erano le fate, o credevasi che le ci potessero essere, fu un giovanotto il quale se ne andò ad un giardino, che dalla moltitudine non osavasi guardare salvo che dal di fuori, per la fama che ne correva di essere desso in possessione ad una cotale fata chiamata Serena. Ma il giovanotto, come quegli a cui l’età poca e il naturale ardimento non lasciavano agio a considerare pericolo, si spinse innanzi, e, trovati arrendevoli i cancelli, si mise senza più a passeggiarvi per entro. Era una maraviglia di fiori pendenti da innumerabili rami d’alberi