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passi della capanna nel padrone di quella, uomo di forse quarant’anni marito avventurato di carissima donna, e padre di bella figliuolanza, cinque tra franciulli e fanciulle, chiamate da nomi esprimenti, secondo l’uso de’ buoni tempi, una qualche circostanza relativa alla loro nascita. Il nome del padrone della capanna era Ircano.

— Perchè indugi ad entrare? disse Ircano al viandante; la notte ti è sopra, ed io, non che rifiutare ospitalità al pellegrino, non volli mai aspettare d’esserne domandato. — Sia pace con te, e sotto il tetto ospitale della tua capanna, rispose il viandante. Ma io sono solito di dormire al sereno tutte le notti. Se tu non mi vieterai di posare là tra quei cespi d’isopo, io te ne avrò molto obbligo l’indomane. — E non ti piacerebbe meglio, dacchè non vuoi ritrarti al coperto, adagiare il capo là tra quelle ginestre, o sotto i tralci di quella vite? — Sospirò il viandante e riprese: — Nuova mercè, mio buon ospite, e possano essere molli i tuoi sonni, come gli steli delle giunchiglie, che fioriscono da canto a quegli antichi pedali; ma io non adagerò il capo tra le ginestre, o sotto i tralci della vite; dacchè sono abituale mio letto i cespi dello sterile isopo e del pungente ginepro. Però non ti spiaccia concedermi ch’io prenda un poco di riposo colà appunto dove ti ho detto. — Sia pure secondo desideri, soggiunse Ircano, e ritraendosi alla capanna, diceva fra sè: costui è un segnalato penitente senz’altro.