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salcio ei corcossi e in un profondo sonno
giacque sommerso.
Allor due belle e bianche
20ninfe da una vicina elee a quel loco
venner danzando: ed una esser l’ancella
parea deH’altra, che sospese a tergo
le frecce d’oro, il portamento e il viso
palesavan reina.
— Ecco il soave.
25Diana madre, rapitor futuro
del mio cintiglio! E sará ver ch’io deggia
mescolarmi a costui?
— Giove lo ha detto,
e né il ciel né l’averno, Ini de cara,
espugnò mai la volontá di Giove.
30Quando in candido cigno a te converso
fu il re de’ numi, e ti velò coll’ali,
perché indignarlo? e ai talami divini
esser ribelle? Da quel giorno al fiero
satiro il padre dell’Olimpo in donna
35t’ha destinata: e da costui tu fuggi
vanamente, o fanciulla. Io, che conobbi
le tue caste vigilie e la tua fede
all’arcano mio rito, io però farti
posso un incanto e la tua forte pena
40disacerbar.
— Non indugiarmi, prego,
madre, l’aita.
— È in questo bosco un’erba,
che qual la chiude in bocca e va sognando
nòve parvenze, in veritá le mira
come le sogna. E tu non il deforme
45satiro, ma il desio della tua mente
abbraccerai.
— Dov’è quell’erba, o madre?
dov’è quell’erba?