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superaron le querce, e il minaccioso
tauro in possanza, e nelle tetre fami
la lupa e il tigre ne’ fulminei sdegni.
20Quindi tesero gli archi; e il primo sangue
stillante fuor dalla portata preda
scaldò del fiero cacciator le spalle.
Fumar nelle caverne e sulle rupi,
coronate di falchi e di bufere.
25le mense enormi; e sui villosi petti
de’ coloni le figlie e de’ pastori
iinparáro il connubio. Indi risolta
tra i frassini del Pelio e dell’Olimpo
fu la perfidia, e cominciò la pugna
30dei fulminati. E Prometèo sull’Ida
la grifagna tormenta, e nel macigno
urla Encelado sempre, e Fiegra tutta
de’ combusti cadaveri nereggia.
Questo fruttò dalle incestate nozze
35e dai baci di Giove. E non per tanto
ridon nell’aria le gioconde stelle,
ornano a’ fior le giovinette il crine,
e ai vivi e ai morti le materne braccia,
mentre cantan le Parche, apre la Terra.
40Figli siam noi di questi padri! e pace
a noi l’avara caritá de’ numi
consente appena in quello stesso grembo
che produsse il misfatto. O bella emersa
dalle spume del mar, bella Afrodite,
45fior di Cipro e di Milo, i di son brevi:
tu ce li allegra. Della vita il nappo
sente d’amaro; e tu ce lo incorona
di molle ambrosia. A noi l’ultima luce
spunta imprevisa: non lasciar che il nembo
50del suo tristo color ce la dipinga
sul cristal della stanza ove domani
piú non saremo. Benedetti i pochi