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sepolcri (il P. lavorava in quel tempo ai suoi Tumuli), poi ancora dei sogni, della influenza degli astri sulle umane vicende, dei Campi Elisi pagani, confrontati col Paradiso dei cristiani.

Si lamenta l’assenza del Sannazzaro che ha seguito in Francia esule il proprio re Federico IV d’Aragona, abdicatario ed esule in Francia nel 1501; ciò che dimostra come il Dialogo, un po’ tutto mesto e religioso, appartenga agli ultimi due anni di vita del Pontano, morto quasi ottantenne nel 1503. Questo senso di onesta tristezza si sente anche nella chiusa, dove il P. manifesta la sua speranza di vedere, prima di morire, la filosofia fatta davvero latina e rivestita d’una veste di parole elette, degna di lei: ciò che è stato il voto — dice — di tutta la sua vita.




Dei sette Codici Pontaniani conservati nella Vaticana (2837-43) nessuno contiene il Charon nè l’Asinus: di questo trovansi nel 2840 solo le prime dieci pagine, buttate giù in fretta, forse nella prima stesura. Ma avendo io confrontato il testo dell’Aldina 1519 (quello che qui si riproduce) con molti tratti dell’Actius, che è contenuto per intero nel 2843, li ho trovato talmente corrispondenti, sì per la punteggiatura che per la grafia, da potersi per estensione considerare anche il testo degli altri Dialoghi — che sappiamo essere stati mandati ad Aldo dall’Autore — come fedeli riproduzioni dell’archetipo Pontaniano.

Marcello Campodonico.