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introduzione ix

a Norimberga del Koburger, del 1472; una del Creussner, pur di Norimberga, del ’75, quando se ne fecero altre tre; una a Parigi insieme con le Facetiæ morales, o l’Esopo tradotto dal Valla, e i De Salibus virorum illustrium del Petrarca, una a Milano del ’77 dal Valdafer, quattro, pure a Parigi, nel 1480; cinque in vari luoghi nel 1487; due a Venezia nel 1488; una a Lione nel 1497; tre edizioni con le opere complete nel 1510, 11, 13. Argentine, Joh. Koblonchus; e poi via via altre sino a quella di Cracovia del 1592. Ma nel seicento e nel settecento sembra declinare la fortuna dell’opera: troviamo una sola edizione del 1797, e un’altra del 1800. Le traduzioni “in vulgare ornatissimo” non mancano dal sec. XV sino a quella stampata dal Bindon nel 1553; ma da quell’anno, ch’io sappia, altre versioni non venner fuori sino al 1884-85, quando apparve quella pubblicata dal Sommaruga, mentre le versioni francesi si moltiplicavano in buon numero dal 1484 al 1878. Cosí il fortunato libretto corse di terra in terra a rallegrar le brigate, a diffonder letizia e riso ovunque, dalle botteghe alle corti, dai conventi alle caserme, ed ebbe chiosatori, imitatori, plagiari; dette origine alle Buffonerie del Gonnella, alle Facezie del piovano Arlotto e ad altre raccolte, una delle quali fu largamente sfruttata dal Domenichi.

Oggi le Facetiæ, non potrebbero dar diletto, se non a chi le leggesse in quel latino pieno di grazia che non è lingua morta o intarsio di erudizione; sotto al quale sentesi lo squisito gusto fiorentino, con la snella disinvoltura, la nativa eleganza, la schietta festività dell’idioma di messer Giovanni e di messer Franco. Sotto la patina arcaica è l’oro del toscano scintillante. Il fauno classico scorrazza per i divini ombrosi poggi del