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IV

LA RIMEMBRANZA.

D’ogni dolor piú crudelmente acerba
è la memoria del tempo felice,
che viva e vera il misero ne serba.

Quel ben che avea, di cui goder non líce,
5maggior di quel che fu si rappresenta

l’agitato pensier dell’infelice.
10so quanto l’immagin mi tormenta
della perduta mia dolce consorte
ovunque io sia, come ch’io guati o senta.
10E il sovvenir di lei m’ange si forte,

che, se l’occaso annotta o l’orto aggiorna,
io provo quel che è poco men di morte.

Ecco che in braccio al nuovo april ritorna
la gaia primavera giovinetta,
15di fiori tenerelli il manto adorna.
11tempo è questo, in cui la mia diletta,
piú vaga dell’ istessa primavera,
d’amarmi disse, incerta e timidetta.

E questo è il tempo, in cui da quel ch’ell’era
20diversa tanto, aimè! l’estremo addio

diemmi, e vide quaggiú l’ultima sera.
Dite, o fidi in amar, come poss’io,
al confronto crudel del vario stato,
non struggermi nel pianto e nel disio?
25Ah! che l’acerbo caso sventurato

temo pur sia del mio fallir la pena,
che in eccesso d’amor forse ho peccato.

Tra l’alma e Dio sol dee formar catena
d’amor l’eccesso; ed io trascorsi il segno
30prescritto, nell’amar cosa terrena.