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112 angelo mazza

XXVII

PER LE NOZZE DELL’AUTORE.

1

Tempo verrá che ’l gaudio d’oggi e ’l canto
per lei, cui mal resiste arte e natura,
amaramente volgerassi in pianto;
che gioir di quaggiú lungo non dura.
La sposa i capei sparsi, in bruno ammanto,
lamentar agli dèi la sua sciagura
giá veggo; e me, gelida spoglia, intanto
la tomba inghiotte tacita ed oscura.
Poi, tersi gli occhi, il crin raccolto, e negra
non piú sua vesta aver veggo il colore,
pari a la guancia ancor fiorita e allegra.
Deh! piú oltre veder negami, Amore:
veder non vo’ la man, che strinsi integra,
divenir pegno di novello ardore.

2

Somiglianza d’affetti e lunga prova
d’uno stabil voler, donna, mi ha tratto
teco a formar l’irrevocabil patto,
che non piú che per morte si rinnova.
Libertá, di che l’uom tanto si giova,
onde poggi a virtú spedito e ratto,
qual di me forse giá sperar s’è fatto,
se per me si ricerca, or non si trova.
Quinci dover che ammorza ogni desio,
e quindi amor che sdegna usata sede,
minacciano d’affanno il viver mio.
Ma fido petto per timor non cede.
Ben, se’, donna, crudel, miser son io,
se il tuo cuor non risponde a tanta fede.