Pagina:Poesie di Giovanni Berchet.djvu/96


— 96 —

55Via, via, con l’ingegno del duol la tapina
     Travalica il tempo, va incontro indovina
     Ai raggi d’un giorno che nato non è;
     Tien dietro a un clangore di trombe guerriere,
     Pon l’orme su un campo, si abbatte in ischiere
     60Che alacri dell’Alpi discendono al piè.

Ed ecco altre insegne con altri guerrieri,
     Che sboccano al piano per altri sentieri,
     Che il varco ai vegnenti son corsi a tagliar.
     Là gridano: Italia! Redimer l’oppressa!
     65Qui giuran protervi serbarla sommessa;
     L’un’oste su l’altra sguaina l’acciar.

Da ritta spronando si slancia un furente:
     Un sprona da manca, lo assal col fendente,
     Nè svia da sè il colpo che al petto gli vien.
     70Bestemmian feriti. Che gesti! che voci!
     La misera guarda, ravvisa i feroci:
     Son quei che alla vita portò nel suo sen.

Ahi! ratto dall’ansie del campo abborrito
     S’arretra il materno pensiero atterrito,
     75Ricade più assiduo fra l’ansie del dì.
     Più rapido il sangue ne’ polsi a lei batte;
     Le schede fatali dall’urna son tratte.
     Qual mai sarà quella che Carlo sortì?

Di man de’ garzoni le tessere aduna,
     80Ne scruta un severo la varia fortuna,
     Determina i sette che l’urna dannò.
     Susurro più intorno, parola non s’ode:
     Ch’ei sorga, e li nomi la plebe già gode:
     Già l’avido orecchio l’insulsa levò,

85E Giulia reclina gli attoniti rai
     Sul figlio; lo guarda d’un guardo che mai
     Con tanto d’amore su lui non ristè.
     Oh angoscia! ode un nome; non è quello di Carlo;
     Un altro, ed un altro; — non sente chiamarlo.
     90Rivelan già il quinto; — no, Carlo non è.