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messi delle polizie, segreti e pubblici, l’hanno poi tramenata cotanto, l’hanno cotanto fatta correre su e giù a seminar zizzanie tra di noi, ad adulare una falsa boria soporosa nella coscienza di chi amando la patria non domandava a sè stesso in che poi consistesse l’amarla davvero, l’hanno indotta, dico, a cotanto scialacquo delle sue forze, che a lei sono rimaste oramai solo le grinze e la goffaggine. Scommetto una buona ciocca de’ miei capegli ancora neri; — il che non è posta tenue per un uomo che se li vede volgere al canuto ogni mattino più; — e nondimeno vado a scommettere che a nessuno reggerà ora lo stomaco di rafforzare gli stinchi a quell’accusa. Tutti poi i capegli miei e neri e bianchi, ed anche il pericraneo scommetto, che nessuno, ove un tristo s’ardisse di raffazzonarli, nessuno possessore sotto il cranio suo d’un granello di giudizio, se ne lascerà abbindolare.

Giacchè sono in ballo, contentatevi ch’io faccia un altro saltetto: e sarà l’ultimo, ve ne do promessa. Mi pizzica sul labbro qualche parola da dirvi anche intorno alla ragion poetica di questa romanzuccia; perchè qui sta il zoppicare; e se un briciolo d’apologia le potesse raddrizzare l’apparenza, sarebbe per me una beatitudine. Non è ch’io mi metta in apprensione dei critici di mestiere onde è pieno lo stivale d’Italia: so bene che da loro non ho a temere che pubblicamente neppure si fiati de’ versi miei; sono diavolerie che scottano i diti, argomento che ne va la pelle a darsene per intesi. Ma tra que’ critici vi possono anche essere persone che, sicure in segreto del fatto loro, fingano di cedere alla smania di trinciare un giudizio letterario, quale che sia l’imprudenza che commettano a confessare d’aver lette le mie Fantasie, e davvero servano poi ad altro proposito. Già s’intende che la confessione ed il giudizio saranno bensì ripetuti sovente, ma sempre con persone diverse