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340Vennero, sì ch’io sedei sesto. Fuma
La mensa, e porporeggia il terso vetro.
Nè la Murena, de i Roman conviti
Già delizia, mancò, nè l’aurea a gli occhi
Siracusana Panacèa, che tosto
345Destò i motti leggiadri, e il riso arguto.
Paga la natural voglia de’ cibi,
Fu più annodato il ragionar: ma come
Non dir mai di Morgana? o incanto, o aspetto
Sia casual, certo, io parlai, non rado
350E tra monti e su laghi appar tal sorta
Di vaghi mostri, e quel tra gli altri è bello,
Che fu d’in cima a Nordica montagna
Visto, alla nostra età. Tacqui, e il desìo
Dal volto uscir de la Fanciulla io vidi,
355E seguitai; dirollo, o bella, e forse
Piacerà che un po’ d’alto i detti io mova.
Sagace e ardito esplorator del vero
Scuoprio dal basso un’assai densa nube,
Che su l’erto sedea Broken alpestro;
360E tolto un condottier, cui noto è il calle,
Volle il monte salir. Dà forze al fianco
L’amor del nuovo, e i bei sudor gli asciuga
De la lode vicina il dolce vento.
Giunto, tra spesse nebbie avvolto e chiuso
365Vedesi, e il duce invan cerca de gli occhi,
E il chiama invan; che gli morìa sul labbro