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Canta dell’Api del suo florid’orto,
Deh meco i labbri tuoi, donde parole
Escon più dolci, che soave mele,
Che versa il senno del tuo santo petto,
Immergi dentro al liquido cristallo,
Ed addolcisci l’acqua al nostro rivo,
Prima sceglier convienti all’Api un sito,
Ove non possa penetrare il vento,
Perchè ’l soffiar del vento a quelle vieta
Portar dalla pastura all’umil case
Il dolce cibo, e la celeste manna.
Nè buono è dove pecorella pasca,
O l’importuna capra, e suoi figliuoli,
Ghiotti di fiori, e di novelle erbette,
Nè dove vacche, o buoi, che col piè grave
Frangano le sorgenti erbe del prato,
O scuotan la rugiada dalle frondi.
Ancora stian lontane a questo loco
Lacerte apriche, e le squamose biscie,
E non t’inganni il verde, e bel ramarro,
Ch’ammira fiso la bellezza umana;
Nè rondinella, che con destri giri
Di sangue ancora il petto, e le man tinta
Prenda col becco suo vorace, e ingordo
L’Api, che son di cera, e di mel carche,
Per nutricare i suoi loquaci nidi;
Troppo dolce esca di sì crudi figli.