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POEMETTI IN PROSA 153

svaní. Ed ecco da quei drappi neri dove le canzoni affogavano, uscire un fantasma indistinto – simile all’ombra di un uomo quando la luna è all’orizzonte. Ma non era ombra d’uomo, né di un dio, né di cosa a noi nota; e spiccatasi tremolando dai drappeggiamenti della camera, si posò, visibile a tutti, sulla porta di bronzo.

Era indefinita e informe; non era ombra d’uomo, né di un dio — né di un dio della Grecia, né di un dio della Caldea, né di alcun nume dell’Egitto. L’ombra si posò sulla porta di bronzo e sotto l’arco e non si mosse piú, né fece motto, ma lí fissa rimase. E la porta dove l’ombra si era posata, se ben ricordo, stava dirimpetto ai piedi del giovine Zoilo, avvolto nel manto funebre.

Noi sette lí raccolti, avendo visto l’ombra uscire dai drappi, non avevamo coraggio di fissarla, ma con gli occhi bassi guardavamo sempre nel profondo specchio d’ebano.

Alla fine io, Oinos, articolando sommessamente alcune parole, chiesi all’ombra la sua dimora e il suo nome. Essa rispose: “Ombra sono e abito presso le catacombe di Tolemaide, vicino alle tetre lande di Helusione, che si stendono lungo il fosco canale Caronio.”

Noi sette allora trasalimmo e ci alzammo inorriditi e stemmo tremando rabbrividendo nel terrore, perché la voce dell’ombra non era di un solo, ma di una moltitudine di esseri, varia nei suoni, che percoteva confusamente i nostri orecchi con accenti familiari e ben noti di molte migliaia di defunti.