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Ahimè! o comprensiva Musikê, ch’ei sapientemente risguardava quale sufficiente educazione dell’anima nostra! Ohimè, ohimè! dove, dove eravate voi mai? Ed era appunto allora che, scomparsi amendue nell’obblio e nell’universale disprezzo, più disperatamente provavasi il bisogno di voi!

Pascal, quel filosofo da te e da me tanto amato, Pascal, cara Una, ha detto (e con quanta verità!) che ogni raziocinio riducesi a cedere a un sentimento: nè sarebbe stato impossibile, se l’avesse permesso l’epoca, che il sentimento del naturale avesse ripreso l’antico suo ascendente sopra la brutale matematica ragione delle scuole. Ma non doveva ciò avere luogo, chè, spinta immaturamente innanzi da sussultorie orgie della scienza, la decrepitezza del mondo ci si accostava. Del che punto si accorgeva la massa immane dell’umanità; o che almeno, sebben priva di felicità, vivendo di continuo nel disio acceso di nuove impressioni, facesse sembiante di non vedere. Tuttavia, quanto a me, gli animali della Terra mi avevano insegnato ad attendere la completissima ruina come prezzo della suprema civiltà. E comparando la China, semplice e robusta, con l’architettonica Assiria, con l’astrologico Egitto, con la Nubia piena di ancor più fine sottigliezze, turbulenta madre di tutte le arti, io aveva attinto la prescienza del nostro Destino. Avea scorto, nella storia di queste contrade lo scintillare d’un raggio dell’Avvenire. Per me le specialità industriali di queste tre ultime contrade formavano altrettante locali malattie della Terra, di cui ogni particolare rovina aveva dato l’applicazione del rimedio locale: ma pel mondo guasto e corrotto, nella sua grande uni-