Pagina:Poe - Storie incredibili, 1869.djvu/215


— 209 —


s’era rivoltato sul suo letto, egli era sempre rimasto desto; e che i suoi timori eran sempre venuti su addensandosi, opprimendolo. Ed aveva voluto persuadersi che non avevano avuto ragione di essere; ma non ci era riuscito. Aveva detto seco stesso: — Fisime; è nulla; fu il vento del camino; — sarà qualche sorcio che discorre l’assito; — eh! forse qualche grillo che avrà mandato il suo verso stridulo, acuto.

Sicuramente, il vecchio stillavasi il cervello per calmare con ipotesi le sue ansie; invano, e sempre invano. E tutto era stato inutile, perchè la morte, che s’accostava, eragli passata dinanzi con la sua grand’ombra nera, la quale aveva tutta in sè avvolto la vittima infelice. Ed era appunto il penoso e funebre influsso dell’ombra, da lui non avvertita, non vista, che gli faceva sentire la presenza della mia testa nella camera.

E quando ebbi atteso lungo tempo, lungo tempo, con pazienza somma, con unica pazienza, senza tuttavia che mi potessi accorgere se erasi ricorcato, mi risolvetti di schiudere un po’ la lanterna; ma un tantino appena, un filo, un insensibil filo. Adunque l’aprii, — ma così poco, così poco, che voi no ’l sapreste neanche immaginare, — la girai così adagio, così adagio, che in fin fine un raggio pallido, pallido, come fil di ragno, sprizzò dal fessolino e giunse sull’occhio di avoltoio.

E l’occhio era aperto — dilatatamente aperto, - e, non sì tosto l’ebbi visto, fui come invaso di furore. Lo scorsi con distintissima, purissima pupilla, pienamente, intensamente ’l fissai; e ’l vidi con quel suo azzurro pallido, ih! tutto natante nell’albugineo velo, in quello schifoso velo, che