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cidente, si faceva più vivo ogni quando per nuove circostanze venisse messa in maggior evidenza la riassomiglianza morale o fisica tra il mio rivale e me. Io non aveva scoperto il fatto notevolissimo della parità de’ nostri anni, ma io ben vedeva che eravamo della stessa statura, e m’accorgeva esistere una rassomiglianza singolarissima nel complesso delle nostre fisonomie e de’ nostri lineamenti. — Mi sentiva egualmente inasprito dalle voci che correvano sulla nostra parentela, voci che generalmente trovavano fede nelle classi superiori. In una parola, nessuna cosa più seriamente mi poteva disgustare (sebbene mi studiassi con grande cura di celare ogni contrassegno, di questi timori) di una semplice allusione alla nostra somiglianza, sia rispetto allo spirito, che alla nascita ed alta persona. Nondimeno, io non aveva ragione alcuna di credere che una tale rassomiglianza — eccettuato il fatto della parentela, e tutto quanto Wilson medesimo potesse vederne — fosse stata per un solo istante oggetto di commenti o di note pei nostri condiscepoli. Che egli tenesse d’occhio questo fatto in ogni sua apparenza e con altrettanto studio quant’io stesso ne usava, era cosa evidentissima; ma che egli avesse potuto scuoprire in simili circostanze un volto tanto conturbato per simili ansie e contrarietà, io non potrei attribuirlo, come già accennai, che alla di lui sagacia veramente sottile.

Wilson mi dava sempre il suo ripicco con una perfetta imitazione di me stesso, ne’ gesti e nelle parole; e mirabilmente rappresentava la sua parte. Facil cosa invero era lo imitare i miei modi; — il mio incesso, i miei portamenti e’ se li appropriava con una garbatezza finita; e, a dispetto