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ni Tatlbot mi avrebbe presentato a lei in piena regola.

Questo indomani giunse finalmente; o, per meglio dire, il giorno albeggiò infine dopo una lunga e penosa notte di impazienza; e poi le ore sino alle «tredici» trascorsero a passo di lumaca, tetre, e innumerevoli. Ma persino Stamboul, come dicono, avrà una fine, e così giunse anche il termine di quella lunga attesa. L’ora battè, e l’ultima eco si smorzava appena quando entravo all’Hotel B — e chiedevo di Talbot.

«È fuori» rispose il domestico, che era il suo cameriere privato.

«Fuori!» risposi, indietreggiando di una mezza dozzina di passi; — lasciate che vi dica, il mio egregio giovinotto, che questo è perfettamente impossibile e inverosimile. Il signor Talbot non è uscito. Che volete dire?

«Nulla», rispose: «soltanto il signor Talbot non è in casa. Ecco tutto. È partito per S. subito dopo la colazione e mi ha lasciato detto che non tornerebbe in città prima di una settimana».

Ero pietrificato d’orrore e di rabbia. Tentai di replicare, ma la mia lingua rifiutò di compiere il suo ufficio. Infine girai sui tacchi, livido di collera, e dentro di me consegnando alle più