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Nuovi danni, e coi danni i dolori, sospinsero la plebe a nuova conquista. Si moltiplicarono i rapporti, le faccende, gli utili; la macchina sociale si complicò, la difficoltà di reggerla crebbe. Alle qualità naturali dell’uomo, forza ed astuzia in guerra, si sentì il bisogno d’una qualità nuova, saggezza in pace; se questa saggezza era difettiva nei nobili, la società non tardava a provarne le conseguenze; ed ecco che il sostituire ad essi altri governanti più degni, idea un tempo suggerita dalla ragione, ora per lo svolgersi dei fatti era suggerimento dell’istinto, effetto dei mali da cui la società era gravata, dei dolori, dai quali veniva stimolata. Quindi la storia dei tanti tumulti, dei martiri, delle rivoluzioni, con cui la plebe cercava conquistarsi il diritto di conferire ai suoi eletti i maestrati della repubblica. Dunque volontario servaggio; quindi il volere della concione dei forti sostituito all’arbitrio dei singoli capi; quindi la podestà di questa concione sottoposta alle consuetudini, ad una regola; finalmente gli eletti o i migliori sostituiti ai nobili; ecco il progresso delle interne istituzioni seguito dai varii popoli italiani, progresso che lo troviamo conforme a quelle leggi di natura, di cui abbiamo nel precedente paragrafo ragionato. Ora abbandoneremo per poco un tale argomento, e ci faremo a ragionare sulle scambievoli relazioni che si stabilirono durante questo tempo fra i varii popoli d’Italia e l’effetto che esse produssero sulle interne condizioni di ciascuno dì essi.

Quando i selvaggi cominciarono a raccogliersi in vichi e paghi si trovarono in contatto in Italia con i civilissimi etruschi superstiti del distrutto impero; quindi il desiderio in quelli di procacciarsi le ricchezze che questi possedevano; l’avidità dell’indole umana faceva tendere quei nascenti popoli a raggiungere la prosperità dei loro vicini. Di qui le guerre continue, le scorrerie