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natura che la volontaria schiavitù, ma diede corso a nuova tirannide.

Al crescere delle popolazioni e delle ricchezze, al moltiplicarsi dei rapporti fra gli individui, la podestà dell’oligarchia dei forti cresceva, pesava sempre più sulla plebe, le cui fibre d’altra parte venivano dirozzate dal crescente numero delle sensazioni. Cominciarono a sentirsi i dolori, che trassero a sè l’animo dei più accorti, e la ragione dichiarò ben presto un’ingiustizia, che i soli nobili fossero sovrani. Ecco la lotta della ragione coi pregiudizii e colle opinioni di quelle società. Da questa lotta cominciò a sorgere naturalmente l’idea della colleganza della plebe contro i nobili, idea dalla quale l’istinto aveva deviato, prima col volontario servaggio, poi col concedere ogni podestà alla concione dei forti, ed a cui la ragione rimenava la società. Questa prima colleganza ha in sé tutto l’avvenire della democrazia; dà principio alla lotta del popolo contro le caste ed i privilegii, ed entra nella sfera delle rivoluzioni dei popoli civili.

Quale sarebbe stato il suggerimento della ragione per risolvere questa prima contesa fra nobili e plebei? Manomettere i nobili, e farsi la plebe arbitra della cosa pubblica. Ma conseguita la vittoria come reggersi da sé? Faceva d’uopo rifletterci, pensarci, ed il volgo non riflette, né pensa. L’istinto suggerì di non distruggere i nobili, ma limitare la loro podestà, sottoporla a regole, e queste regole furono le consuetudini, rudimenti dei codici di tutti i popoli; prima vittoria della plebe sui nobili, prima idea del giusto, e dell’ingiusto. Dunque sulle consuetudini primitive si basarono i codici, e queste consuetudini erano risultate dal volontario servaggio, dagli erronei suggerimenti dell’istinto; quindi il lungo cercare, le tante esperienze ancora in corso, onde giungere da principii così ingiusti al semplicissimo codice della natura, l’uguaglianza.