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solo sarebbe tirannica, ma vana; si vedrebbero sorgere tanti altri governi quante sono le diverse provincie, o almeno i diversi Stati in cui ora è divisa. Il maestrato che dovrà amministrare l’Italia, deve assolutamente procedere per addentellati, facendo così abilità ad ogni parte di essa, fatta libera, d’unirsi alle provincie iniziatrici del moto, non già sottomettendosi, ma trovando pronto il proprio incastro onde comporne un solo tutto. Quindi altro non potrà essere che una convenzione, un Congresso nazionale, eletto con suffragio universale, il quale verrà completandosi a misura che la rivoluzione proceda. Resta ora a determinare le attribuzioni di questo Congresso.

Se ci faremo a considerarlo con quelle idee, che oggi si hanno in Europa del governo parlamentare, ognuno ne troverà, nel fondo della propria coscienza, la condanna. Garrule, lente, tumultuanti, snervate riescono coteste congreghe, ed esse o cagionano la ruina del paese, o si restringono in una dittatura, essendo cosa impossibile ottenere l’unità dei fatti in tanta disparità di pareri. Ma ciò non è difetto di queste adunanze, bensì errori di popoli che loro concedono poteri, e ne richieggono opere con la loro natura riluttanti. Un tale Congresso debb’essere non imitazione della Convenzione francese, ma tutt’altro; avvicinarsi piuttosto al Congresso americano, a quello delle Fiandre, al greco, cercando la maggiore unità, ed energia, non già in esso, ma nell’ordinamento delle altre parti dello Stato. Prima d’ogni altra cosa, non bisogna mai perdere di vista il principio, che un popolo, per essere libero, bisogna che fino dal primo istante spezzi le sue catene, ed assicuri la libertà.

La sovranità per legge di natura è inalienabile, nè havvi circostanza che possa giustificare la violazione di questa legge; concederla ad altri è un suicidarsi;