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così le nazioni sono mature, e toccano quasi la meta alla quale aspirano, allorchè gli scrittori ed i cospiratori tendono al medesimo fine. Quale è in questo svolgersi delle umane vicende l’opera ed il dovere del rivoluzionario? Con la penna trattare tutte le quistioni che conducono al fine bramato; con la congiura far cospirare l’azione al medesimo fine, e cercar di legare strettamente il pensiero e l’azione. Dire fucili e non libri è un errare, come il dire, libri e non fucili.

Abbiamo già veduto in una sequela non interrotta di fatti, dal 1814 al giorno d’oggi, le varie esperienze attraverso le quali ha proceduto il popolo italiano. Da queste esperienze, e non già dai libri, risulta la coscienza nazionale. Ma questa coscienza ove si manifesta? negli scrittori o nei cospiratori? Indubitamente nei secondi. Cotesta coscienza, cotesto sentimento è vago nella generalità, in pochissimi è reciso; esso per conseguenza è soggetto a vacillare sotto l’impressione dei fatti. Gli avvenimenti sotto tanti diversi aspetti, sono sempre erronei; come i gruppi dei monti, i quali sembrano cangiare la loro dispositura, al cangiare del sito dell’osservatore; quindi quel mutare continuo delle opinioni. Una nota diplomatica, le parole di un ministro, la morte di un principe possono dar ragione ad una quantità d’opuscoli; sono essi l’espressione della coscienza nazionale? no. Ma mutano la coscienza nazionale più o meno modificata da tale avvenimento, secondo la gagliardia d’animo di chi scrive. La cospirazione, per contro, non prende le mosse da tali avvenimenti, ma molto più da lungi; le sue aspirazioni e le sue forze non le cerca in ciò che mostrasi nella società, ma in quei sentimenti, in quelle aspirazioni occulte non solo, ma osteggianti; inoltre il congiurare richiede fermezza di proposito e gagliardia d’animo più dello scrivere; quindi tutte le circostanze concorrono