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voci, dalle tante idee che si manifestano emerge il concetto collettivo, che notifica le tante volontà latenti sino all’istante dell’azione, i fatti che si svolgono lo manifestano. Tanto il federalista, quanto l’unitario che propugnano le loro dottrine, hanno eguale diritto alla gratitudine della patria, perchè entrambi, manifestando i pregi ed i difetti di due sistemi, rischiarano l’argomento, ed entrambi sono sotto l’ampio vessillo della rivoluzione, che il comitato avrebbe dovuto inalberare. Egli, elevandosi al disopra di tutte le opinioni, avrebbe dovuto avere per missione il facilitare cotesta propaganda, che sorge spaventosa fra i cittadini, facendo abilità ad ogni scritto rivoluzionario, senza prediligere una dottrina più tosto che un’altra, di circolare liberamente nell’interno. Il comitato non avrebbe dovuto credersi un governo, aggiunti a tanti che opprimono l’Italia, ma un mezzo di eludere la vigilanza di essi, e scrollarne l’autorità, non crear ceppi, ma rompere gli esistenti; non chiedere silenzio, ma libertà di dire; non faredire ma lasciar fare, lasciar dire: non governare ma rivoluzionare. Il Comitato volle imperare: la sua formula fu tacete e fate: avrebbe dovuto essere; fate e dite come meglio credete.

Le città d’Italia, varie d’indole e di tradizione, e variamente oppresse, non possono astringersi ad un unico organamento, nè da un sol centro dipendere, ma solo riceverne aiuto. Il popolo che in varie foggie vede sorgere i patiboli e cadere le vittime, è solo giudice del come i cittadini debbano tra loro intendersi, ed a quali uomini debbano fidarsi. Il comitato volle tutto accentrare nelle sue mani, e che tutti muovessero ad un suo cenno.

L’intolleranza nelle opinioni crebbe a tale, che il Comitato toscano escluse pubblicamente dalle sue file coloro i quali erano unitari, dicendosi abbastanza forte,