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del ricco. Ma egli non ha presentito allora la morte della borghesia, la supremazia della plebe; si diresse alla prima, questa gli è venuta meno di fatto; ed egli che credevasi isolato, ha visto sorgere spontanea la plebe e sostituirsi a quella.

Il mandato del Comitato nazionale era rivoluzionario; quindi era suo principale carattere quello di escludere la guerra regia, guerra antirivoluzionaria, e già dichiarata dagli avvenimenti del 48 e 49 impotente e volta solo a spegnere l’esaltazione nazionale. Il Comitato nazionale sorgeva per sostituirsi a quel trono, verso cui fugacemente s’eran rivolte le speranze d’Italia; accordarsi con esso era rinnegare la propria legittimità; era assurdo, era ridicolo. Il governo Sardo, quando voglia operare, non ha mestieri dell’adesione d’un comitato di esuli residenti a Londra. E se gli Italiani vogliono seguire le sorti del Piemonte, non dimanderanno certamente, per farlo, l’adesione del comitato; e non volendolo, quell’adesione valeva poco. Il comitato, in luogo di farsi un organo, pel cui mezzo la pubblica opinione poteva manifestarsi ed operare, pretese darle forma e carattere; se ne credette l’arbitro, e parlava come un governo costituito, che offriva patti al governo Sabaudo. Un tale errore fu di breve durata; il comitato, dopo poco tempo, si disdisse.

Unificare la volontà, sgomberando i dubbii, avrebbe dovuto essere l’opera principale del comitato; era seconda quella di ajutare con mezzi materiali l’azione ovunque spontaneamente sorgesse. Il primo lavoro avrebbe dovuto essere quello di distruggere l’antico errore. La rivoluzione non era, e forse non è compresa nel suo vero senso. Il prestigio di un nome superava quello delle idee; ed il nome di Mazzini aveva tanta autorità da aggiungere grandissima forza alla verità per sè medesima potente. «Italiani, avrebbe dovuto esclamare