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mento. Popolo e principi hanno mire opposte: quindi diffidenza, dubbia fede, spergiuro, incapacità ne’ capi; e, dopo tanti sforzi, il popolo altro non guadagnò che persecuzioni ed efferata tirannide.

A Roma, a Venezia, il popolo combatte solo, quasi svincolato dalle pastoie domestiche; ivi combattesi con tutta l’anima; gregari e capi non vogliono che la vittoria; hanno unità di mire, unità d’interessi; la disfatta è egualmente ruinosa per tutti; non vi sono cagioni estranee alla causa italiana, che distornino l’impeto de’ combattenti; non v’è nulla da conservare. Nondimeno Roma e Venezia cadono, e perchè? perchè angustiarono i loro sguardi fra le mura di una città; si combattè per Roma e per Venezia, non già per l’Italia. Come in Ugo Foscolo si personifica la vita del popolo italiano dal 96 al 14, in Mazzini si personifica la stessa vita sino al 48. Mazzini esordì per essere Carbonaro; poi osteggiò questa setta; fondò la Giovine Italia. Vinto in ogni tentativo nel 48, egli, repubblicano, fu costretto, come tutti i repubblicani, a rassegnarsi all’opinione universale. A Roma fu troppo romano.

In questi quarant’anni di storia rinviensi l’avvenire d’Italia. E se ogni italiano appuntasse il suo intelletto sulle gloriose pagine di un tale libro, troverebbe in esso la soluzione di ogni dubbio che adombra la sua mente. Dalla vita de’ nostri, dalla narrazione di tutti gli sforzi fatti dagli Italiani, scaturisce un corpo di dottrine, donde dovrebbero prendere le mosse i ragionamenti, e trarsi le conclusioni, che i dottrinanti, con poco senno e poco decoro, cercano altronde. In questo periodo di nostra storia, Mazzini, che vi occupa un posto glorioso, avrebbe dovuto trarre le norme per la condotta a tenersi dal Comitato nazionale, ivi scritto a caratteri indelebili; gli stranieri ed i principi nostri nemici; le sette impotenti; il municipalismo ruinoso;