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dicare dalle altre vicine. Il terreno è scavato in parte per le fondamenta; ma i mucchi di terra non sono stati portati via; e qua e là sono sparse tra l’erba ricresciuta folta, le pietre per la fabbrica, come crollate e vecchie prima d’essere usate.

Seggo su una di queste pietre; guardo il muro che para, alto, bianco, stagliato nell’azzurro, della casa accanto. Rimasto scoperto, senza una finestra, tutto così bianco e liscio, quel muro, col sole che ci batte sopra, acceca. Abbasso gli occhi qua nell’ombra di quest’erba vana, che respira grassa e calda nel silenzio immobile, tra un brusìo d’insetti minuti; c’è un moscone fosco che mi dà addosso, ronzando, irritato dalla mia presenza; vedo Bibì che mi s’è acculata davanti con le orecchie ritte, delusa e sorpresa, come per domandarmi perchè siamo venuti qua, in un luogo che non s’aspettava, ove tra l’altro... ma sì, di notte, qualcuno, passando...

— Sì, Bibì, — le dico. — Questo puzzo... Lo sento. Ma mi pare il meno, sai? che possa ormai venirmi dagli uomini. È di corpo. Peggio, quello che esala dai bisogni dell’anima, Bibì. E veramente sei da invidiare, tu che non puoi averne sentore. —

La tiro a me per le due zampine davanti, e seguito a parlare così.

— Vuoi sapere perchè sia venuto a nascondermi qua? Eh, Bibì, perchè la gente mi guarda. Ha questo vizio, la gente, e non se lo può levare. Ci dovremmo allora levare tutti quelli di portarci per via, a spasso, un corpo soggetto a essere guardato. Ah, Bibì, Bibì, come faccio?