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§ 7. Lo scoppio.


Ho ancora negli orecchi lo scroscio dell’acqua che cade da una grondaja presso il fanale non ancora acceso, davanti alla catapecchia di Marco di Dio, nel vicolo già bujo prima del tramonto; e vedo lì ferma lungo i muri, per ripararsi dalla pioggia, la gente che assiste allo sfratto e altra gente che, sotto gli ombrelli s’arresta per curiosità vedendo quella ressa e il mucchio delle misere suppellettili sgomberate a forza ed esposte alla pioggia lì davanti alla porta, tra le strida della signora Diamante che, di tratto in tratto, scarmigliata, viene anche alla finestra a scagliare certe sue strane imprecazioni accolte con fischi e altri rumori sguajati dai monellacci scalzi i quali, senza curarsi della pioggia, ballano attorno a quel mucchio di miseria, facendo schizzar l’acqua delle pozze addosso ai più curiosi, che ne bestemmiano. E i commenti:

— Più schifoso del padre!

— Sotto la pioggia, signori miei! Non ha voluto aspettare neanche domani!

— Accanirsi così contro un povero pazzo!

— Usurajo! usurajo! —

Perchè io sono lì, presente, apposta, allo sfratto, protetto da un delegato e da due guardie.