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tesi istintivamente una mano per sorreggermi al tavolino; sbarrai gli occhi:

— Ma sì! ma sì! — dissi. — Senza nessuna logica! senza nessuna logica! così! —

E mi diedi a cercare tra quelle carte.

Quanto cercai? Non so. So che quella rabbia di nuovo cedette a un certo punto, e che una più disperata stanchezza mi vinse, ritrovandomi seduto sulla seggiola davanti a quel tavolino, tutto ormai ingombro di carte ammonticchiate, e con un’altra pila di carte io stesso qua sulle ginocchia, che mi schiacciava. Vi abbandonai la testa e desiderai, desiderai proprio di morire, se questa disperazione era entrata in me da non poter più lasciare di condurre a fine quell’impresa inaudita.

E ricordo che lì, con la testa appoggiata sulle carte, tenendo gli occhi chiusi forse a frenar le lagrime, udivo come da una infinita lontananza, nel vento che doveva essersi levato fuori, il lamentoso chioccolare d’una gallina che aveva fatto l’uovo, e che quel chioccolìo mi richiamò a una mia campagna, dove non ero più stato fin dall’infanzia; se non che, vicino, di tratto in tratto, m’irritava lo scricchiolìo dell’imposta della finestra urtata dal vento. Finchè due picchi all’uscio, inattesi, non mi fecero sobbalzare. Gridai con furore:

— Non mi seccate! —

E subito mi ridiedi a cercare accanitamente.

Quando alla fine trovai il fascicolo con tutti gl’incartamenti di quella casa, mi sentii come liberato;