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l’ironia comica nella poesia cavalleresca 119

del mondo, nella leggenda o nel sogno dei poeti avevano vissuto i cavalieri erranti, e il Cid Campeador che, ajutando il tempo, potè facilmente far leggenda della sua storia, non avvenne in quella carcere, alla presenza del poeta, un dialogo?

Presso le altre genti il romanzo cavalleresco aveva creato a sè stesso personaggi fittizii, o meglio, il romanzo cavalleresco era sorto dalla leggenda che si era formata intorno ai cavalieri. Ora la leggenda che fa? Accresce, trasforma, idealizza, astrae dalla realtà comune, dalla materialità della vita, da tutte quelle vicende ordinarie, che creano appunto le maggiori difficoltà nell’esistenza. Perchè un personaggio non più fittizio, ma un uomo che prenda a modello le smisurate immagini ideali messe su dall’immaginazione collettiva o dalla fantasia d’un poeta, riesca a riempir di sè queste grandiose maschere leggendarie, ci vuole non solo una grandezza d’animo straordinaria, ma anche il tempo che ajuti. Questo avvenne al Cid Campeador.

Ma Don Quijote? Coraggio a tutta prova, animo nobilissimo, fiamma di fede; ma quel coraggio non gli frutta che volgari bastonate; quella nobiltà d’animo è una follia; quella fiamma di fede è un misero stoppaccio ch’egli si ostina a tenere acceso, povero pallone mal fatto e rappezzato, che non riesce a pigliar vento, che sogna di lanciarsi a combattere con le nuvole, nelle quali vede giganti e mostri, e va intanto terra terra, incespicando in tutti gli sterpi e gli stecchi e gli spuntoni, che ne fanno strazio, miseramente.