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condo piano, morto di freddo, con le mani in tasca, il bavero alzato.

Appena fuori su la via, Marta sentì la straordinaria furia del vento che ruggiva per la strada, come se volesse portarsi via tutte le case. Guardò in alto, il cielo sconvolto, corso da enormi nuvole squarciate, tra cui la luna, scoprendosi di tratto in tratto, pareva fuggisse impaurita, precipitosamente. La via era quasi al bujo: alcuni fanali erano stati spenti dal vento, che sul poggetto del Papireto aveva anche spezzato un albero e gli altri agitava, storceva. Le vesti impedivano alle due donne, curve contro la furia, d’andare speditamente. Don Fifo teneva con ambe le mani le tese del cappelluccio sprofondato fin su la nuca.

Alla svolta del Duomo, sul Corso, un non mai visto spettacolo: un fragoroso torrente, crescevole sempre, di foglie secche rovinava vorticosamente, come se il vento avesse strappato tutte le foglie delle campagne e via con impeto di rabbia, in un veemente eccesso di distruzione se le trascinasse da Porta Nuova giù, giù, fino al mare, in fondo.

Le due donne e don Fifo furon presi dal turbine a le spalle e spinti di corsa in giù, quasi sollevati con le foglie. A un tratto don Fifo cacciò un grido, e Marta lo vide saltare come