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PREFAZIONE



Fra tutti que’ dialetti, che in tanti paesi dell’Italia nostra si usano, secondo quel che io avviso (ed al giudizio mio non pochi Letterati concorrono), il Piemontese a buona equità può riputarsi tra i più dolci, più gentili e più esprimenti, sia che di questo la pronunzia si consideri, sia che si osservi la proprietà e copia dei vocaboli che il compongono, sia che il fonte si riguardi onde trae l’origine.

Io non niego già, che il dolce amor della patria, per cui, al dire dell’immortal Metastasio nel Temistocle:

“    .    .    .    .    . amano anch’esse
Le spelonche natie le fiere istesse „

abbia tanta forza sul cuore umano, che tutto bello rappresenti quanto nella patria si racchiude. Ma se taluno, scevro affatto dai pregiudizi di questa natural prevenzione vorrà, circa quanto son per dire intorno al dialetto nostro, eziandio in confronto di tanti e tanti altri instituire un retto giudizio, mi giova il credere che darà gloria singolare al Piemontese, a cui la presente Gramatica è destinata.

Infatti non ha l’idioma nostro la pronunzia nè troppo lunga e sgradevole, nè troppo ratta e confusa, nè gonfia e rimbombante, nè fra denti interrotta, e quasi con fischio che sentir facciasi; nè ha finalmente tant’altre, le quali troppo lungo sarebbe il nominare, difettose maniere di proferire, che a molti altri dialetti con ragione vengono ascritte, e con tedio non poco dai forestieri udite.