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Leggi Romane. 83

una cosa troppo perniciosa alle Repubbliche: poichè da questa nasce, che i cittadini le debbano necessariamente ignorare, se pur non vogliono spenderci dietro tutto il tempo della vita loro, e trascurare ogni altra premurosa bisogna, senza essere ancora ben sicuri che quando saranno con fatica giunti ad avere a memoria le Leggi poste verso la fine, non vengano intanto a dimenticarsi di quelle, che al principio, e nel mezzo furon collocate. La troppo gran copia dee naturalmente partorire una indicibil confusione nelle teste di chi le va studiando: essa dee cagionare una incertezza generale rispetto alle cose della giustizia, poichè in un gran numero di Leggi impossibile è il fare sì, che i sudditi possano ben conoscere quale a questo e quale all’altro caso applicare si debba: Finalmente essa deve produrre infiniti timori, e scrupoli ne’ cittadini, i quali per non potersi proccurare una sufficiente notizia di tante leggi, non possono essere sicuri giammai di operare a norma di esse. A che uopo adunque far tante Leggi, se queste non servono ad altro, che ad imbrogliare i sudditi, e ad arrichire i giudici, e gli avvocati? Quando una Repubblica ha molte Leggi, egli è infallibile, che vi sono ancora molte liti; e che il denaro de’ sudditi in vece di essere impiegato nell’agricultura, nel commerzio, ed in altre cose vantaggiose alla società, va a collare nelle borse di cento fanfaroni, o stupidissimi poltroni. Apud quos plurimæ leges, dice Platone, ibi et lites, itemque mores improbi. E la sperienza ce l’ha fatto finora troppo ben vedere, perchè niuno possa con ragione disputarci contro giammai.


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