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Leggi Romane. 67

te degli antichi Giureconsulti Romani intorno alle Leggi delle dodici tavole. L’ambizione, l’interesse, e l’ostinatezza di voler stare attaccati alle parole della Legge li condussero ad inventare, e porre in uso un infinito numero di sottili interpretazioni, di formalità di parole, e di principj stravaganti, e storti. Primieramente Essi ritrovarono, i Fasti, le formole legali, e le cifre a intendimento di tenere celata alla plebe la loro Giurisprudenza, e di obbligare per questa maniera tutto il popolo Romano a servirsi di essi in tutti i più importanti affari.1

Le Leggi civili furono adunque allora con tante sottigliezze, e con tante formalità imbrogliate, e ad un’ora tutte queste ciance, e furberie venivano con tanta segretezza occultate, che chi non era nell’ordine di coloro, a’ quali la scienza legale poteva esser palese, non sapeva nè in quai giorni fosse lecito di comparire nel foro; nè in che maniera, o con quali parole convenisse proporre la sua azione in giudizio, nè che altre cose vi fossero da osservare: perciocchè per avere la notizia di tutto questo, e per potersi ne’ casi occorrenti regolare secondo il bisogno, era necessario che ogni volta si ricorresse ad un giurisconsulto, val a dire a qualcuno de’ patrizj, i quali questi arcani con gelosia custoditi tenevano.2 E quello, che rende questo malizioso, ed ingiusto procedere ancora più insoffribile, si

  1. V. La Legge 2. D. de O. 9. §. 6. et 7. Il Cujacio, il Ruperto, il Bynkershokio, il Muelen, ed altri ne’ loro comenti a quelle. L’Eineccio de Orig. Jur.
  2. Liv. Lib. 9. Dec. I. ed i sopraccitati.

E 2 è, che