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Leggi Romane. 65

avere ormai questo necessario, e sostanziale requisito, non debbono a’giorni nostri poter più servire di Leggi. Poichè, come sarà egli possibile, che la gente, che non sa più in là dell’abbiccì, o anche le altre persone colte, e letterate, le quali però alla Giurisprudenza non si sono con particolare studio applicate, abbiano una sufficiente cognizione delle Leggi di Giustiniano, quando coloro medesimi, che si mettono a studiarle, come si suol dire con l’arco dell’osso, e che ne fanno professione, pure con tutte le loro fatiche, ed applicazioni in un tanto bujo si trovano, che non sanno dove porre nè piedi, nè mani, e ben sovente cose tali proferiscono, che farebbero per istomacaggine saltar le pietre fuori delle mura. Non s’hanno adunque da tollerar Leggi cotali, che in vece di servire ad impedire, che nascano liti, ed a decidere con ragionevolezza le controversie, sono piuttosto acconcie a partorire, e conservare le discordie, ed i processi in quella Repubblica, dove siano ricevute.

III. Una delle più essenziali, ed importanti qualità di quelle Leggi, che all’amministrazione della giustizia destinate sono, si è quella dell’essere il più, che sia possibile, conformi alla retta ragione, e all’equità, ed al diritto naturale. La qual cosa tanto è necessaria, che dove essa manchi, molti grandissimi disordini ne debbono senza alcun fallo seguitare: E particolarmente Leggi tali, che troppo si scostano dall’equità, e dal raziocinio naturale, non sono atte a riscuotere da’ cittadini la dovuta ubbidienza, non che quel gran rispetto, che per le Leggi comunemente si ha.


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