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il gran passo 61

gnere, impaziente di arrivare a Castello: «se si trasporta la parrocchia da una chiesa all’altra, Domeneddio non c’entra; del resto lasciamo fare a Domenedio e camminiamo.»

Ciò detto prese un’andatura così lesta che il signor Giacomo, fatti pochi passi, si fermò soffiando come un mantice.

«La perdona» diss’egli «se obedisso tanto quanto a la natural curiosità de l’omo. Se podaria saver la Sua riverita età?»

L’ingegnere capì l’antifona e fermatosi un momento si voltò a rispondere quasi sottovoce, con ironica mansuetudine trionfante:

«Più vecchio di Lei.»

E riprese spietatamente la via.

«Sono dell’ottantotto, sa!» gemette il Puttini.

«Ed io dell’ottantacinque!» ribatté l’altro senza fermarsi. «Avanti!»

Per fortuna del Puttini non c’erano più che pochi passi a fare. Ecco il muraglione che sostiene il sagrato della chiesa di Castello, ecco la scaletta che mette all’entrata del villaggio. Ora bisognava svoltare nel sottoportico della canonica, cacciarsi alla cieca in un buco nero dove l’immaginazione del signor Giacomo gli rappresentava tanti iniqui sassi sdrucciolevoli, tanti maledetti scalini traditori, ch’egli si piantò sui due piedi e, incrociate le mani sopra il pomo della mazza, parlò in questi termini:

«Corpo de sbrio baco! No, ingegnere pregiatis-