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472 parte ii - capitolo xiii

interessi a Oria. La roba Maironi, nonna, lasciala all’Ospitale Maggiore. Ho paura che i miei vecchi abbiano sbagliato a tenerla!»

La nonna non ebbe tempo di rispondere perchè fu picchiato all’uscio. Entro il Prefetto e fece che Franco pigliasse congedo per non stancare l’ammalata. «Bisogna sbrigarsi!» diss’egli, fuori. «Qui hai fatto più che il tuo dovere. Lo sanno in troppi, oramai, che sei qui e i gendarmi possono capitare da un momento all’altro. Ho combinato tutto coll’Aliprandi. L’Aliprandi suppone che per la marchesa ci sia bisogno di un consulto, piglia la gondola di casa e va a Lugano per cercar un medico. I due barcaiuoli sarete Carlo e tu. Piove. Ci sono i mantelli di tela incerata col cappuccio. Mettete quelli e tu sta a poppa. Adesso ti tagliamo il pizzo; col cappuccio in testa sfido a riconoscerti. Sei sicuro. Forse non vi faranno neanche approdare alla Ricevitoria. A ogni modo non ti riconosceranno. Se c’è da parlare parla Carlino.»

L’idea era buona. La gondola della marchesa era sempre guardata dagli agenti dell’Austria con grande rispetto come se portasse un uovo dell’aquila dalle due teste; anche quando ritornava da Lugano non si faceva approdare alla Ricevitoria che pro forma.

La gondola uscì dalla darsena dopo le otto. Le nebbie delle alte cime erano calate sul lago e pioveva. Triste triste giorno, triste triste viaggio! Nè Franco, nè il domestico, nè l’Aliprandi parlarono