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con i guanti 211

«Quale?» rispose costui. «Mantova!»

Franco udì senza batter ciglio il formidabile nome, sinonimo di segrete e di forche.

«Io non posso aver paura di Mantova» diss’egli. «Non ho fatto nulla per andare a Mantova.»

«Eppure!»

«Di cosa mi accusano?» ripetè Franco.

«Questo lo sentirà se resta qui» rispose il Commissario, pigiando sulle ultime parole.» E adesso vediamo le dalie.»

«Non ho fatto nulla» tornò a dire Franco. Non mi movo.»

«Vediamo queste dalie, vediamo queste dalie!» insistette il Commissario.

Parve a Franco che avrebbe dovuto ringraziar quell’uomo e non potè farlo. Gli mostrò i suoi fiori con quel tanto di cortesia che occorreva, con perfetta tranquillità; e lo ricondusse dall’orto in casa, discorrendo di non so qual professore Maspero, di non so qual segreto per combattere l’oïdium.

In sala si discorreva di un altro peggiore oïdium. La signora Peppina aveva in corpo una terribile paura del colèra. Riconosceva, sì, che il colèra ammoniva ogni buon cristiano di mettersi in grazia di Dio e che quando si è in grazia di Dio è una fortuna di andar all’altro mondo: «Ma però, anca la pell, neh! Quella cara pelascia! A pensà che l’è domà vüna!»

«Il colèra» disse Luisa «se avesse giudizio,