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quale ingombro debba essere quel carico umano, quando non si può interrompere per un momento la difficile manovra, quando bisogna calcolare sui delicati strumenti ogni minuto secondo di tempo, ogni chilogrammo di peso, ogni metro di distanza; e tener conto d’ogni lieve ombra che passi sullo specchio del periscopio, col quale si osserva la superficie del mare, e vigilare sott’acqua per non urtare torpedini e mine; quando, per evitare d’essere speronati dalla nave avversaria, bisogna sprofondarsi rapidamente, ma per l’appunto quanto basta e non più, se l’acqua sia bassa, per non andare a battere sul fondo del mare, per non rimbalzare, per non essere esposti ad altre rovine?

Immaginate quanto buoni, quanto generosi debbano essere i comandanti e i marinai che esercitano in queste condizioni l’ospitalità verso i naufraghi?

Quei naufraghi sono nemici; parlano tedesco, diffidano di noi e ci odiano: appena riavuti, il loro primo pensiero è generalmente di tradimento o di sprezzo. Non importa. I marinai d’Italia dividono con essi il pane e l’acqua e persino l’aria che respirano.

Perchè noi non volevamo questo tremendo flagello che è la guerra; ma poi ch’è necessario, facciamo la guerra nell’unico modo degno di noi, con lealtà e con umanità.


VI.

COME ANDÒ


Fate conto che press’a poco le cose sieno andate così.

C’era una volta un contadino, un buon uomo che non domandava se non di vivere in pace con tutti,