Pagina:Petruccelli della Gattina - I suicidi di Parigi, Milano, Sonzogno, 1876.djvu/357

Soffriva visibilmente. Si sarebbe detto che lottasse contro il destino.

Infine, si alzò e sclamò con tristezza:

— Voi siete felice! voi raccontate degli aneddoti.

— Be’! egli chiama aneddoti la scienza! Voi credete dunque i nostri autori di scienze naturali un branco di romanzieri?...

— Poco divertenti — interruppe il duca. E si vorrebbe darci a credere che si vorrebbe sostituire, per suicidarsi, un vaso di fiori al carbone tradizionale?

— Esattamente... E voi potete domandarlo alla duchessa.

La connessione di queste due parole, suicidio e duchessa, fece abbrividire il duca. Quantunque pallido di già, impallidì ancora, e balbuziò:

— Mistificatore, va!

Ed uscì.

Il dottore lo accompagnò del suo sguardo fisso e penetrante, e mormorò a sua volta:

— Assassino!


Il duca di Balbek ritornò al palazzo, e parlò alla cameriera. Poi uscì di nuovo, e passò il rimanente del giorno a visitare le stufe di tutti i fiorai di Parigi.


XVIII.

La via del cielo... dopo una sosta.

Il duca di Balbek aveva sulla morale dalle idee incerte, un carattere avvizzito, uno spirito sconcio dall’educazione dei gesuiti: più dispetto che angoscia; più gelosia d’amor proprio che di amore. Non poteva, per conseguenza, sentir fortemente.

L’abbiam visto infatti stemperarsi in un dolore multiforme, melodrammatico, senza coscienza di sè stesso. In quella situazione di spirito, egli era capace di tutto: cadere ai piedi di sua moglie, arrovesciarla nelle braccia dell’amante ed andarsi a distrarre altrove — così bene