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Egli aveva pochissima barba, ed era pallido. Di marziale, solo il contegno e le abitudini. Poco avvicinabile, di maniere sdegnose, temendo rivelarsi avanti il momento e fuor di proposito, egli sorvegliava le proprie parole, fuorchè nell’ironia e nella maldicenza, che aveva molto pronte e colorite. Del resto, dava ai suoi pensieri delle forme poetiche, e non mancava di eloquenza. La sua tenuta rigida imponeva il rispetto. La sua andatura, sicura di sè stessa, grave, fiera, imperiosa, ove l’orgoglio traboccava, era d’accordo colla parola breve e col suono brusco della voce. Egli correggeva coll’arroganza dell’animo e dell’uomo, ciò che poteva mancare di guerriero e di cavalleresco al militare ed al generale.

Con tutto ciò, eccellente cavaliero, sobrio, paziente, d’un bel coraggio personale, ch’egli s’imponeva nelle circostanze decisive, con uno sforzo di volontà. La vista del sangue non lo turbava. Il pericolo altrui lo toccava poco. Egli non lo fuggiva, il pericolo, ma non lo cercava neppure, come avremo occasione di vedere. Non risparmiava le fatiche alle sue truppe, ma le divideva, e dormiva con esse sulla neve con un freddo di 18 gradi sotto il zero Réaumur, senza pranzo dopo un’assenza di asciolvere, e restando senza cena, dopo non aver pranzato. Con lui, si riposava d’un combattimento con una marcia, e d’una marcia con una battaglia. Severissimo nella disciplina, ingiusto soltanto verso i suoi nemici e verso quelli di cui era geloso, che invidiava o temeva. Pieno di ingegno, non sapeva mai riconoscere l’ingegno degli altri, sempre disposto ad impiccolire il merito che l’offuscava, senza generosità insomma, senza nobiltà di animo.