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ma, io mi abituavo a considerare la mia deportazione in Siberia come una partita di piacere, un’occasione singolare per accoccare una beffa allo Czar, quando una circostanza venne a tagliar corto alle mie visioni.

Un giorno, verso la fine di febbraio 1864, il signor Astatchef, il concessionario delle miniere, arrivò.

E’ veniva da Omsk, da Irkutsk, da Nesrcinsk. Mi aveva rimarcato, quando io uscii dall’anticamera del generale Duhamel. Aveva appreso la scena, che aveva determinata la mia destinazione a Nerscinsk, ed udito con interesse le raccomandazioni dei miei compatriotti. Egli aveva interrogato il generale, che si era mostrato afflitto della severità con cui mi avevano colpito e che egli non avea osato distornare. Il signor Astatchef aveva preso il mio nome, il mio numero di registro a Omsk, poi il numero dei registri a Yrkutsk ed a Nerscinsk. A Ukbul aveva dimandato delle informazioni sul mio conto al direttore e al capitano. Non so che rapporti raccogliesse. Il fatto sta che mi fece chiamare.

— Signore — mi disse egli, guardandomi con attenzione, — percorrendo il registro della miniera, ho osservato che siete stato parecchie settimane malato. Il capitano mi ha informato che è stato mestieri, e lo è ancora, risparmiarvi per non farvi soccombere. Ora, io ho l’abitudine di tirare dagli uomini che pago il più grande profitto che posso. L’uomo non sviluppa tutta la sua potenza che quando è nella linea delle sue capacità. Egli è evidente che non è nel romper massi e nell’avvolgere una corda che voi mi rendete il vostro meglio.

Le parole erano sensate e dure; ma egli aveva