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— Lo sconteremo a miglior occasione. Servo, signor dottore.

— Son tutti gli stessi! disse il dottore continuando il giro. E tu?

— Eccellenza, ho ricevuto un calcio da un cavallo.

— Decotto di china. — E vostra reverenza?

— Io sono don Noè, sagrestano del parroco di San Matteo, vostro fratello.

— Ah! sì, mio fratello m’ha detto qualche cosa. Questo giovanotto è, dunque, vostro nipote?

Bruto non aveva perduto una sillaba di quello che il dottor Tibia aveva detto ai suoi clienti: egli aveva osservato tutti i suoi gesti, le sue maniere, spiato ed indovinato i suoi istinti. Lo aveva, quindi, compreso e giudicato. Prese, dunque, il contegno che gli parve più conveniente con quello sciocco ed ignorante bestione e rispose:

— Ai suoi comandi, dottore.

— Da chi avete studiato medicina, giovinotto? Spero che non sia stato da uno di quei ciuchi sistematici....

— Ai suoi comandi, dottore.

Don Noè sembrava lieto del contegno di suo nipote, da cui aveva temuto qualche contegno stravagante, che avrebbe fatta cattiva impressione sul dottore.

— Benissimo, disse questi a don Noè. È un giovane pieno di creanza e rispettoso. Coraggio, figliuolo: faremo di voi uno scienziato della vera e buona medicina, quella della debolezza....