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del cielo. Questo commissario aveva inoltre l’abitudine di recarsi al suo ufficio con premura, quando era in collera — per igiene — perocchè allora la sua bile non gli si spandeva pel corpo, ma cadeva sull'anima vili che gli capitava fra le mani.

In questa condizione di cose, il commissario Silvestri sedette pro tribunali e si fece menar dinanzi il colonnello. Il cancelliere, che era solamente un po’ sordo, gli si mise vicino.

Il colonnello restò in piedi. Il signor Silvestri fiutò una presa di tabacco, mise gli occhiali, squadrò da capo a piedi, da uomo che se n’intende, il delinquente, e, tenendo a briglia la sua irascibilità, principiò l’interrogatorio.

— Come ti chiami?

— Pietro Colini.

— La patria?

— Moliterno, in Basilicata.

— L’età?

— Cinquantadue anni.

— La tua professione?

— Soldato.

— Perchè sei stato arrestato?

— Ve lo dimando, signor commissario.

Il cancelliere scrisse: “Per contrabbando; sono emissario.„

— Conoscete il marchese di Diano?

— No.

— Ah! ti metti sulla negativa al presente?

— Io non mentisco giammai, signor commissario.

— Ti sei, ad ogni modo, battuto in duello ed hai ferito il tuo avversario.