Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il sorbetto della regina, Milano, Treves, 1890.djvu/181

chiava nel gabinetto. Poi, siccome essa era un po’ stanca, il conte ed il dottore vi ritornarono soli per fumare, prendere il thè e conversare. Il vino di sciampagna rendeva il conte molto loquace, a quanto asseriva egli stesso. Il fatto sta che Bruto si sentiva tutto intenerito, sorrideva al genere umano con aria di protezione; avrebbe sporto la mano ad una tigre per augurarle il buon giorno. L’universo non aveva che delle pose, una bocca, delle pupille, come quelle di Cecilia. Messer Bruto aveva lo sciampagna umanitario senza saperlo; poichè era, m’immagino, la prima volta che ne beveva. Il conte, pure, pareva tenero e pieno di buoni sentimenti.

— Siete voi ricco, dottore? chiese egli con voce accarezzante.

— Eh! eh! rispose Bruto con aria un po’ sbalordita, non ne so nulla, ma credo che quel gruzzolo di scudi, che mi ha lasciato don Noè mio zio, tocchi il fondo. Don Gabriele mi ha detto qualche cosa a questo proposito, la settimana scorsa.

— Prima di tutto, chi è questo don Gabriele? Non mi piacciono i nomi proprii sospesi in aria, senza genealogia nè qualifica.

— Don Gabriele? non è un uomo di cui si possano dare i connotati in succinto, come per un passaporto. Se parlassi fino a domani, ancora non vi direi ciò ch’egli è. In cinque minuti egli è Carlomagno, Pulcinella, Colombina, la Regina, Berta, il guappo ed il frate, il brigante e la provvidenza. È turco, ma eccolo poi crociato, poi eremita, inglese, francese, svizzero e, sopra-