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— Io ho dodici ducati a rimettervi pel vostro panegirico dell’Ascensione.
— Potete tenerveli.
— Ma Come? voi non volete lavorare più per me dunque?
— No.
— Ma ciò è impossibile!
— Bisogna pertanto che ciò sia.
— Ma voi non v’immaginate dunque l’effetto prodotto dal panegirico! È un avvenimento. Napoli, da otto giorni, non parla che di ciò. Mi hanno applaudito alla chiesa come la Frezzolini a S. Carlo. Gli era un delirio. Dava la febbre. Il cardinale arcivescovo si teneva a quattro per non gridar come gli altri: bravo! bravo! E’ me l’ha detto.
— Io sapeva ciò che facevo, rispose Don Diego.
— Ma ciò non è tutto. Il re m’invita, per autografo, a predicare alla cappella reale per la quaresima. L’arcivescovo desidera che io predichi alla cattedrale. Ho ricevuto trenta proposizioni siffatte. Non so a chi dare la preferenza. Mi attendo da un momento all’altro l’invito del cardinale vicario per andar a predicare a S. Pietro.
— Ebbene, che cosa m’importa tutto codesto?
— Come! che cosa v’importa? Ma, chi dunque farà i miei sermoni? A chi debbo io questa valanga d’inviti? Signor Gesù! ma io conto su di voi, sono perduto.
— Voi volete che io vi nomini vescovo? Ve lo rifiuto.
— Oh! no, no; ciò non si può. Gli è un assassinare un uomo!