Pagina:Petruccelli - La rivoluzione di Napoli nel 1848, Genova, Moretti, 1850.djvu/84


— 78 —

notte con severità e forse con durezza. All’indomani corsero dei messaggi tra gli studenti da un lato ed il ministero ed il re dall’altro: quindi grandi apprensioni, grandi dicerie. Infine, sulla sera, scortati come malfattori, in presenza del Bozzelli che non arrossì sanzionar per tal modo un decreto da lui non osato concepire, luttuosamente quella compagnia di tristi imbarcavasi sopra un vapore, che la conduceva fuori la rada, per indi di nuovo intrometterla nella città di notte tempo e diversamente mascherata. Si era spiegato un gran lusso di forze, credendo che il popolo si commovesse; ma, malgrado le ciere compunte e le assise da pellegrini, malgrado i gridi ed il piagnuccolare di un povero vecchio paralitico gravemente straziato dagli sbalzi della carrozza, la loro cacciata fu accolta col grido di viva l’Italia! morte all’austriaco! e neppure una voce di simpatia. Un solo protestò contro la fiacchezza del governo che si affrettava ad obbedire al primo venuto: una sola penna ardì dire che, se l’esiglio di coloro era necessario ed anzi ritardato di troppo, non era costituzionale, perchè nè dal governo nè dalla rappresentanza nazionale pronunciato, non per legge nè per ordinanza compiuto; e l’uomo che lo diceva - era io. Quando i giorni di lutto ricominciarono per Napoli, i gesuiti pubblicamente tornarono. Essi fiutano l’odore del despotismo come i corvi quello delle carogne. Imprudenti! Che dirà dunque il popolo se dovrà un giorno cacciarli di nuovo? dirà... i morti soli non tornano. E chi vorrà compatirli? Queste facili vittorie inaridivano la parte meno saggia dei cittadini, senza rischiararla.

Lo spirito rivoluzionario aumentava, la rivoluzione