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semblea. Lanza, presidente provvisorio, diresse ai cittadini un proclama, annunziando il felice scioglimento di una dissensione, a cui i pari non poca parte avevano presa, e pregavali di fare incontanente scomparire qualunque traccia di discordia. — La nostra voce era fiacca, impotente: eravam troppo pochi per lacerare la tela dei delitti con tanto accorgimento fabbricata: vi era un partito determinato a non farla prevalere. Gli uomini che agivano nelle tenebre non, avrebbero ceduto che alla forza; ma alcuni capi della guardia nazionale, sia che avessero paura, sia che fossero complici, non la vollero adoperare.

I deputati, uscendo dall’assemblea ai primi albòri del nuovo dì, passando sulle barricate, avean pregato, anzi avevano imposto di disfarle. Si promise: ma quando, cinque ore più tardi, essi tornavano al loro posto, ebbero a ripassare sugli stessi altari della guerra civile. Chi era dunque che contro il volere della rappresentanza nazionale, contro l’opinione di tutti i cittadini inesorabilmente si ostinava a tener testa? Il mistero ha cominciato a far travedere alcune delle sue brutture, ma in tutto il sozzo della sua tristizia non si è ancor rivelato. Questo è certo, che i liberali, i radicali sopra tutto, vi furono stranieri o si dichiararono incompetenti. Essi non volevano punto di quella commedia. Essi sapevano che il giorno che dovea distruggere il principato e cacciar via la famiglia Borbone non poteva esser altro se non l’indomani di quello, in cui un italiano, dalla cima delle Alpi, avrebbe riguardate le pianure del Veneto e del Lombardo ed avrebbe detto: quella è Italia! Le barricate furono concepite forse dal Filangieri, nei satur-