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camente le sue opinioni; egli le lancia, al contrario, a torto ed a traverso, ad ogni proposito; e, cosa singolare, il Parlamento, che interromperebbe chiunque altro con i suoi bisbigli, lascia Ferrari liberamente sporre le sue teorie — a causa forse del suo nome, o a causa della tinta scientifica che l’eminente filosofo-storico dà ai suoi fulgoranti paradossi. Il signor Ferrari ha nondimeno degli sprazzi di luce, i quali riassumono talvolta una situazione con un motto felice e profondo. Se il Ferrari avesse rinnegate le sue prime convinzioni, egli sarebbe forse stato una macchina di guerra. Restando onoratamente federalista, su i banchi dell’opposizione resta impotente.

Ma che cosa è Guerrazzi? mi dimanderete voi adesso. Ohimè! io vorrei ben dirvelo, se lo sapessi, se il signor Guerrazzi lo sapesse egli stesso. Il fondo del suo pensiero di deputato è un mistero. Egli è italiano, senza dubbio; ma sotto di qual forma politica? È desso unitario, repubblicano, monarchico, costituzionale, anarchico? È desso federalista, è desso autonomista? Se io osassi indovinare, io direi che egli è, innanzi tutto, e non è altra cosa, che indispettito di non essere ministro, ed egli odia, a causa di ciò, l’assorbente ed invadente egemonia piemontese. Guerrazzi, come uomo politico, si è poveramente sciupato. Ma egli resta ancora un terribile lottatore parlamentare. Perocchè egli ha una lena inesauribile, e sulle sue labbra l’epigramma scatta spontaneo, e dove tocca, taglia. Egli ferisce a morte, ma fa ridere coloro stessi cui offende.