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Principe che, dodici secoli fa, regnava in Costantinopolì, frammischiate poscia co’ riti longobardi ed involte in farraginosi volumi di privati ed oscuri interpreti formano quella tradizione di opinioni che da una gran parte d’Europa ha tuttavia il nome di leggi, ed è cosa funesta quanto comune al dì d’oggi, che un’opinione di Carpzovio, un uso antico accennato da Claro, un tormento con iraconda compiacenza suggerito da Farinaccio, (e avvertiamo qui come con pietoso amore di verità difenda Manzoni questo scrittore1) sieno le leggi a cui con sicurezza obbediscono coloro, che tremando dovrebbero reggere le vite, e le fortune degli uomini2». Fra quel cumulo, fra quel caos di disposizioni legali, pochissime tornavano opportune, il valore di ciascuna era incerto, di tutte (e questo fu per molti lati un bene) riusciva impossibile anche al più diligente magistrato avere notizia chiara ed esatta. Ne conseguiva la necessità di rimettersi all’arbitrio del giudice, al quale era concesso di estendere la legge mediante applicazioni accomodatizie od analogiche. Non si era omesso per vero di studiare con ogni rigore di logica la dottrina delle prove e si erano moltiplicate le distinzioni intorno al loro valore: ma si ponno forse stabilire regole generali valevoli per ciascun caso? Come può il giudice cogliere la sottile differenza fra la prova piena e la semipiena fra questa e l’indizio, e via dicendo? E quanto

  1. Colonna Infame II.
  2. Dei Delitti e delle Pene — A chi legge.