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l’uomo giusto di barga 315

cui nessuno poteva fare a meno. Egli era, in certo modo, il distributore dei buoni campetti, delle buone selve, ai forti e serii contadini di qui, che dopo essersi trasformati oltre Alpi e oltre Oceano in commercianti e industriali di città, e aver detto yes o ja per lunghi lunghi anni, tornavano a ridire il natio dolce sì, e riprendevano, ma da padroni, liberi e indipendenti, il domestico marrello e il vecchio pennato. Egli era il principale ministro, così retto così accorto, della pacifica rivoluzione, la quale questo territorio o, meglio, questa provincia, e forse, come è nostro presentimento e nostro voto, tutta l’agricola parca modesta Italia, insegneranno col tempo al mondo: una rivoluzione che emancipa il lavoro senza abolire la libertà, e crea un grande tranquillo onesto popolo d’uguali; lo crea senza scosse, lo conserva senza violenza; una rivoluzione fatta con non altre armi che quelle, appunto, del lavoro... Egli era, quell’uomo giusto, il fido consigliere di tutti voi, o reduci dal lavoro al lavoro, dal lavoro liberatore (e voi soli potete dire a prezzo di quante fatiche e quali rammarichi e dolori), dal duro lavoro liberatore al lavoro libero, come buono! come santo! come agevole! come dilettevole! E ognun di voi, nel fare quel trapasso, è passato per le sue mani; non è vero? rimanendo con tanta gratitudine in cuore per il paesano vostro sapiente e paziente. E come paziente! Tutto il giorno egli era nello studio, e a tarda sera vi si trovava ancora: la cena freddava, e la sua gentile consorte perdeva un po’ lei, la pazienza! Sapiente poi... Basti che col fatto egli, avvocato, diceva sempre a tutti: Meglio un tristo accomodo che una grassa sentenza! In quella stessa via è la Pretura: si direbbe che la