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l’èra nuova 117

meraviglia; tanti quanti contro l’altra affermazione pur recisa del fallimento della scienza. Come? non sono poeti Goethe, Shelley, Tennyson, Byron, Lamartine, Hugo, Musset? Zorrilla e Campoamor, Manzoni, Leopardi, Carducci, Mickiewitz e Tolstoi? Certo, e tali e tanti, che si può dire, a ragione, di questo secolo, che è il secolo della poesia, come annoverando tali altri e tanti altri scienziati, da Volta a Roentgen — io non mi arrischio nemmeno a tentarla, questa enumerazione — si può dire che è il secolo della scienza. Eppure... Eppure dico subito che, non ostante qualche accenno, qualche preparativo e qualche tentativo, quella tanta luce di poesia è un rossor di tramonto, come quella tant’altra luce di scienza è un albore d’aurora; e che quella chiude una giornata dell’umanità, con tutte le fiamme, rosse, purpuree, cangianti, d’una sera che ha, qua e là, nel cielo purificato e intenerito le nuvole d’un temporale; e che questa ne apre un’altra, un’altra giornata che quanto, quanto ha a essere serena, non sappiamo, ahimè! non sappiamo: vi sono nel cielo larghi spazi sereni e sono anche nuvole, nuvole che ricoprono il sole o lo riflettono, che fanno sperare o temere, che sono belle e che sono terribili. Quella sera e quest’alba si sono viste, si sono salutate; perchè tutto porta a credere che questo secolo sia nella storia dell’umanità quello che è il circolo polare nel nostro globo: un secolo nel quale il tramonto s’è incontrato con l’aurora e la fine col principio. Ma per un attimo. La vecchia èra sparisce e sorge la nuova.

Ora la poesia del nostro secolo è l’ultima emanazione (giudico che sia l’ultima, oltre che da molte ragioni, dal suo maggiore splendore) del concepi-